sabato 25 aprile 2020

STEP#11 - LAVORO DURANTE L'EMERGENZA


La  Costituzione Italiana identifica nel lavoro il fondamento della nostra Repubblica democratica, la quale infatti “riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto” (Art. 4, C.).
Questo perché l’attività lavorativa è da sempre un elemento caratterizzante della nostra società, che ne  ha seguito l’evoluzione storica, adattandosi e trasformarsi a seconda dei diversi contesti ed epoche.
E non a caso anche in questo periodo storico, durante una pandemia globale, la parola d’ordine, a fianco a “salute”, continua ad essere proprio “lavoro”. È dunque indispensabile che esso si esplichi in modalità diverse da quelle convenzionali, per rispettare le nuove esigenze e i nuovi standard di sicurezza.
Ecco come dipendenti e liberi professionisti di tutt’Italia, e non solo, si sono ritrovati catapultati nel mondo dello “smart working”, qualificato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali “una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall'assenza di vincoli orari o spaziali e un'organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività”.
Questa definizione, contenuta nella Legge n. 81/2017, pone l'accento sulla flessibilità organizzativa, sulla volontarietà delle parti che sottoscrivono l'accordo individuale e sull'utilizzo di strumentazioni che consentano di lavorare da remoto, con l’obiettivo di rappresentare questo nuovo modo di produrre come l’unico, in un futuro nemmeno così remoto.
La stessa cosa fa l’Osservatorio del Politecnico di Milano descrivendo il “lavoro agile” come "una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati”.

Il lavoro intelligente si presenta quindi come un'ottima misura, oggi per ridurre i rischi, economici e sanitari, domani per favorire un’ottimizzazione della produttività, maggiormente conciliabile con esigenze familiari, sociali e personali.
Tuttavia la pratica ha fatto in fretta a smentire le belle parole delle definizioni teoriche; lo sostiene Open, che in un articolo scrive: "questa forma di lavoro, non si può definire smart working perché manca l’elemento essenziale che caratterizza il “lavoro agile”: la libertà di scegliere come alternare il posto, le modalità, gli strumenti e il tempo di lavoro."
Lo “smart worker”, cui era stata promessa una maggiore discrezionalità nella gestione di tempi e luoghi di lavoro, si ritrova in momento a dover lavorare sempre: l’utilizzo della messaggistica istantanea, la comunicazione attraverso contatti personali (che sarebbero dovuti restare tali), l’assenza di fasce orarie di disponibilità predefinite, costituiscono una gabbia che intrappola il lavoratore, alienandolo e causandogli ansia e stress costanti,  che lo allontanano sempre più proprio dalla famiglia e da se stesso
Ad essere penalizzati maggiormente, come si può facilmente immaginare, sono i precari e i giovani (ma non solo) che lottano con le unghie e con i denti verso un contratto a tempo indeterminato, e proprio in loro sta nascendo una nuova consapevolezza che li porta a rivendicare il proprio diritto alla disconnessione.   
Insomma, il tentativo di oggi può però essere un inizio per un modo innovativo di lavorare in futuro, ma è necessario rivedere il concetto di fondo in un’ottica più favorevole nei confronti proprio dei protagonisti assoluti in questo campo.

Allego gli articoli da cui ho tratto le mie considerazioni sul tema:


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