STEP#02 - STORIA DEL TERMINE
Il termine
lavoro, come già evidenziato, deriva dal latino “labor”, fatica. Infatti nella cultura greca e in quella romana, il
lavoro manuale era prerogativa dei ceti sociali inferiori, asserviti ai signori
aristocratici.
Il lavoro,
quindi, era la linea di demarcazione degli status sociali: chi lavorava era in
uno stato di subordinazione e doveva essere disprezzato, chi, invece, non era
impegnato in alcuna attività lavorativa era da stimare, poiché aveva il tempo e
le risorse per dedicarsi ad attività intellettuali, le uniche veramente nobili.
Con il
cristianesimo si assiste alla rivalutazione del lavoro, quale attività
necessaria, e per questo non disdegnabile, ma comunque inferiore.
Alcuni,
tuttavia, iniziano a discostarsi da questa visione; basti pensare alla regola
del monachesimo benedettino «ora et labora» . Anche san Tommaso giudica
positivamente il lavoro, come legittimo fondamento del guadagno e della
proprietà, che però non deve travalicare e allontanare da Dio, l’unico davvero
capace di soddisfare i reali bisogni umani.
Il lavoro
viene però veramente visto sotto una nuova luce con la Riforma protestante,
operata da Lutero (1483-1546), per cui l’ozio è evasione peccaminosa, la vita
monastica è scelta egoistica di chi sfugge ai propri doveri verso il prossimo,
e soprattutto da Calvino. (1509-1564)
Per
quest’ultimo ogni uomo è “strumento” della divina Provvidenza, e la sua
operosità permette il miglioramento la propria posizione sociale, nonché il
riscatto dal peccato. L’attività lavorativa non ha, quindi, non trova il
proprio valore e la propria ragion d’essere in sé, nei risultati che ne
scaturiscono.
Mentre il
Rinascimento celebra la creatività del lavoro, al quale è riconosciuto un
valore intrinseco, nel Seicento, con la Rivoluzione scientifica, l’uomo diviene
consapevole della propria capacità di controllare la natura e piegarla alle
proprie esigenze con il suo lavoro. Nel secolo successivo, tuttavia, i lumi
tornano a vedere le attività pratiche come degradanti e abiette.
Questo
percorso conduce alla concezione, facilmente deducibile dalla costituzione del
1948, che abbiamo oggi in Italia del lavoro, fondamento del nostro ordinamento
repubblicano, nonché diritto fondamentale. La concezione del lavoro come
punizione, fatica e dolore è scomparsa, per lasciare spazio alla convinzione
che esso sia fonte di ricchezza, di valore e di libertà.
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